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La Balbuzie
Terapia cognitivo comportamentale
Dr.ssa Genny Sagona - Psicologo Specialista in Psicoterapia Cognitivo - Comportamentale Palermo
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la balbuzie come un disordine nel ritmo della parola per cui il paziente sa cosa vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà. Esistono diverse classificazioni della balbuzie in letteratura; le tipologie di balbuzie più storiche e note sono:
· tonica: caratterizzata da intoppi più o meno grossi sia all'inizio che nel corso delle frasi.
· clonica: evidenzia una o più ripetizioni della stessa sillaba ed è molto frequente se chi parla non lega tra loro le parole della frase.
· mista: si ha quando prolungamento e ripetizione si sommano e aggravano il disturbo, fino a rendere molto faticosa la comunicazione.
· palilalica: nella quale "il soggetto ripete spasmodicamente una sillaba che non ha alcuna attinenza con le parole che ha intenzione di pronunciare" (Lunghi e Pearson, 1995).
· esiste poi un'altra forma detta latente che risulta essere "conseguente al timore di balbettare parlando". E' una "forma particolare asintomatica, in cui, pur non presentando segni e sintomi classici della balbuzie, si hanno solo minime alterazioni del parlato, non percepibili dagli ascoltatori, né facilmente misurabili" (Croatto et al., 1994).
La balbuzie è un tipico disordine evolutivo che comincia nella prima infanzia e continua nell’età adulta, si manifesta, in media, intorno ai 30 mesi. Sebbene esiste una certa variabilità, i primi segni della balbuzie consistono nella ripetizione di sillabe o parole, mentre i comportamenti secondari come tensione, astensioni da situazioni o atteggiamenti di fuga sono in genere inizialmente assenti. La maggior parte dei bambini sono inconsapevoli delle interruzioni che incorrono nei loro discorsi. In una prima fase, la disfluenza può essere occasionale, e periodi di balbuzie sono seguiti da periodi di relativa fluenza. Sebbene la percentuale di recupero è molto alta, con il tempo un giovane balbuziente può passare da ripetizioni morbide e rilassate ad una balbuzie accompagnata da tensione e sforzo, inclusi blocchi e prolungamenti. Taluni ritengono che la reazione dei genitori può influire sullo sviluppo di una balbuzie cronica. Le raccomandazioni a parlare lentamente, a respirare, a ripetere, eccetera possono accrescere l’ansia e la paura del bambino, portando verso maggiori difficoltà della parola e, nel “ciclo della balbuzie”, verso maggiori paura, ansia e aspettative di balbettare. Con il tempo possono sopraggiungere i comportamenti secondari come il battito degli occhi, i movimenti delle labbra, così come la paura e l’evitamento di suoni, parole, persone o situazioni in cui si parla. Alla fine, molti diventano pienamente coscienti del proprio disturbo e cominciano a identificarsi come “balbuzienti”. Con questo possono comparire sentimenti quali: una profonda frustrazione, l’imbarazzo e la vergogna. In rari casi, la balbuzie può essere acquisita in età adulta quale risultato di eventi neurologici come una ferita alla testa, un tumore, un ictus o abuso/cattivo uso di droghe. Tale disturbo del linguaggio in questo caso ha caratteristiche differenti dalla balbuzie che insorge nel bambino: in particolare tende a essere limitata a ripetizione di parti di parole o suoni, ed è associata ad una quasi totale mancanza di ansia e comportamenti secondari.
Secondo il DSM IV la manifestazione principale della Balbuzie è:
A. Un'anomalia del normale fluire e della cadenza dell'eloquio, che non risulta adeguato all'età del soggetto; questa anomalia è caratterizzata da frequenti ripetizioni o prolungamenti di suoni o di sillabe.
B. Possono esservi diversi altri tipi di anomalie del fluire dell'eloquio, comprese interiezioni interruzioni di parole (pause all'interno di una parola), blocchi udibili o silenti (pause colmate o non colmate nel discorso), circonlocuzioni (cioè, sostituzioni di parole per evitare parole problematiche), parole emesse con un'eccessiva tensione fisica, e ripetizioni di un'intera parola monosillabica (per es., "O-O-O-O fame").
C. L'anomalia nella scorrevolezza interferisce con i risultati scolastici o professionali o con la comunicazione sociale;
D. Se è presente un deficit motorio della parola o un deficit sensoriale, le difficoltà nell'eloquio vanno al di là di quelle di solito associate con questi problemi. L'entità dell'anomalia varia da situazione a situazione, e spesso è più grave quando vi è una speciale pressione a comunicare (per es., fare una relazione a scuola, un colloquio per un lavoro). La Balbuzie è spesso assente durante la lettura orale, il canto o il colloquio con oggetti inanimati o con animali.
Teorie che spiegano la balbuzie
Le teorie organicistiche
La Balbuzie rappresenta la manifestazione esteriore di una lesione specifica o di anomalie del SNC nelle aree del linguaggio. Le principali sono:
1. Teoria del ritardo o alterazione dello sviluppo motorio in particolare dei centri che regolano il movimento.
2. La teoria psicosomatica di Karlin: ritardata mielinizzazione del SNC (manca sostegno empirico)
3. La teoria della predominanza del “simpatico”: la quale determinerebbe incontrollate ed esagerate emozioni.
4. Teoria della predominanza emisferica; l’alta percentuale di mancini balbuzienti ha fatto propendere per una ipotesi di cattiva lateralizzazione emisferica con conseguente competizione tra i due emisferi nella produzione del linguaggio.
Le teorie psicogenetiche
1. La teoria dello shock emozionale. Queste teorie fanno risalire l’etiopatogenesi della balbuzie ad un episodio traumatico e traumatizzante il soggetto.
2. La teoria della balbuzie come conflitto appreso. Conflitto tra “approccio ed evitamento” ovvero tra il “parlare ed il non parlare”; originato dall’atteggiamento genitoriale.
3. La teoria psicoanalitica. Arresto dello sviluppo psicosessuale a fasi pregenitali, con “conversione” in sintomo somatico delle emozioni anziché in sintomo psichico.
Le teorie foniatriche
1. La teoria della prevalenza degli abduttori laringei sugli adduttori. Nella produzione del linguaggio prevalgono i movimenti abduttori che creano il prolungamento di parti dei suoni.
2. La teoria dell’insufficienza linguistico-speculativa. Il pensiero non trova la sua adeguata capacità espressiva nel tempo voluto congestionando il canale e creando disordine.
La teoria cognitivo-comportamentale
I principi di base sono quelli della terapia operante con l’integrazione degli aspetti cognitivi. Nei primi anni di vita vi sono disfluenze spontanee che scompaiono successivamente; se il bambino, di fronte alle sue normali disfluenze, viene punito, inizierà a provare ansia. Infatti, i bambini reagiscono con ansia alle disapprovazioni dei genitori e trasferiscono poi la carica ansiogena nell’eloquio. Da qui l’individuo con balbuzie inizia l’associazione tra il dialogo e l'ansia, dovuta alla paura di disapprovazione. La paura di balbettare porta a una costante attenzione “sul come si deve dire”, piuttosto che “del cosa dire”, si innesca così il circolo vizioso dell'eccesso di controllo. Il mantenimento del disturbo è spiegato dal condizionamento operante: questo paradigma di apprendimento sottolinea l'importanza degli effetti del comportamento sull'ambiente. Innanzitutto il balbuziente attira l'attenzione, e spesso viene addirittura aiutato a terminare la parola o la frase. Frequentemente l'interlocutore adotta questo comportamento per “togliersi da una situazione imbarazzante”, ma così facendo rinforza il processo; un rinforzo secondario importante della balbuzie è l’evitamento delle responsabilità.
Spesso chi balbetta non viene interrogato a scuola, e viene agevolato perché per molti insegnanti è penoso e imbarazzante ascoltare un balbuziente che parla. La balbuzie diventa così una scusa per non affrontare le incombenze e per delegarle agli altri anche nell'età adulta. Non dimentichiamo poi che il sollievo dall'ansia è un altro importante effetto positivo della balbuzie che sopraggiunge quando il balbuziente è riuscito finalmente a pronunciare la parola temuta. La persona con balbuzie sa benissimo su quali parole balbetterà e più si avvicina al pronunciarle, più aumenta l’ansia di non riuscire. Quando finalmente, pur balbettando, è riuscita a dire la parola “critica”, ottiene un potente rinforzo, il calo di tensione mantiene tutto il processo. Si inizia a parlare di balbuzie quando il soggetto che ne è affetto inizia a sviluppare un forte disagio ed un grande senso di vergogna e preoccupazione per il suo eloquio. Difatti a partire dall’età dei 6-9 anni il bambino balbuziente inizia a sperimentare un senso di imbarazzo e vergogna in quanto inizia a rendersi palesemente conto che il suo linguaggio è impedito ed anche esilarante; in adolescenza, prima, ed in età adulta, poi, il soggetto balbuziente quasi regolarmente inizia a sviluppare:
· Ansia sociale
· Evitamento di situazioni nuove e poco rassicuranti
· Isolamento sociale
· Fobia sociale, ovvero: paura marcata e persistente di situazioni sociali, l’esposizione alla situazione temuta crea ansia, evitamento, ansia anticipatoria, disagio.
Trattamento
Terapie volte alla fluenza
Le terapie volte alla fluenza insegnano al balbuziente a parlare fluentemente controllando il respiro, la fonazione e l’articolazione (labbra, mandibola e lingua). Sono basate sulle tecniche di condizionamento del comportamento. I balbuzienti sono addestrati a ridurre la velocità della loro parlata allungando le vocali e le consonanti, e usando altre tecniche di fluenza come il flusso d’aria continuo e un modo di parlare “morbido”. Il risultato è una parlata lenta e monotona che è però utilizzata solo durante il periodo di addestramento. Dopo che il balbuziente impara a dominare la capacità di parlare fluentemente, la velocità e l’intonazione aumentano gradualmente. Questo modo di parlare più normale è quindi trasferito nella vita di ogni giorno.
Terapie di modifica della balbuzie
L’approccio più largamente conosciuto è stato pubblicato nel 1973 da Charles Van Riper, approccio conosciuto anche come terapia di modifica del blocco.
Come previsto da Van Riper, la terapia di modifica della balbuzie prevede quattro fasi:
Nella prima fase, chiamata identificazione, il balbuziente con l’aiuto di un professionista identifica i comportamenti principali e secondari, i sentimenti e gli atteggiamenti che caratterizzano il proprio disturbo.
Nella seconda fase, chiamata desensibilizzazione, il disfluente lavora per ridurre paura ed ansia attraverso la diminuzione dei comportamenti tipici del balbuziente, affrontando i suoni difficili da pronunciare, le parole, le situazioni “a rischio” e balbettando volontariamente (“balbuzie volontaria”).
Nella terza fase, chiamata modificazione, il balbuziente impara a “balbettare con disinvoltura”. Ciò può essere fatto per mezzo di: “cancellazioni” (fermandosi ai blocchi, facendo piccole pause e dicendo la parola di nuovo), “uscite” dai blocchi a favore della parlata fluente, “azioni preparatorie” prevedendo le parole nella quali si potrebbe balbettare e utilizzando su di esse la “balbuzie disinvolta”.
Nella quarta fase, chiamata stabilizzazione, il balbuziente prepara esercizi di prova, predispone le “azioni preparatorie” e le uscite automatiche dai blocchi e infine abbandona la propria convinzione di essere una persona che balbetta, considerando sé stesso un individuo che parla fluentemente nella maggior parte del tempo ma che occasionalmente balbetta moderatamente.
Gruppi di Supporto e Movimento di Auto-Aiuto
Insieme agli esistenti trattamenti comportamentali, protesici e farmaceutici che forniscono un limitato sollievo dai sintomi palesi della balbuzie, i gruppi di supporto e il movimento dell’auto-aiuto continuano a riscuotere popolarità e sostegno sia da parte dei professionisti che si occupano di balbuzie che da parte dei balbuzienti. Uno tra i punti fermi che è alla base del movimento di auto-aiuto è che, siccome la cura non esiste, la qualità della vita del disfluente può essere migliorata attraverso una piena accettazione di sé stessi e della propria balbuzie.
Il trattamento cognitivo- comportamentale
Nella terapia degli adulti, il trattamento è dato dalla combinazione di più tecniche che tengono conto delle varie aree problematiche, soltanto con un approccio terapeutico completo e articolato, la balbuzie può essere eliminata o ridotta e la fluenza mantenuta nel tempo. La terapia ha come obiettivi: eliminare o ridurre la balbuzie, proporre una tecnica di rilassamento per la gestione dell'ansia, aiutare il paziente ad affrontare le situazioni temute anziché continuare a evitarle, analizzare i pensieri negativi o irrazionali del paziente e sostituirli con pensieri razionali (l'ansia è alimentata da pensieri negativi che la persona, in modo automatico, produce su di sé e sulle situazioni che incontra), aiutare il paziente a comunicare in modo assertivo, insegnare tecniche per aumentare la stima di sé, rendere il paziente consapevole delle emozioni e aiutarlo a gestirle. Il trattamento richiede l’uso di tecniche di respirazione e tecniche di instaurazione della fluenza, rilassamento, desensibilizzazione sistematica, terapia cognitiva, training assertivo, trattamento dei tic, qualora siano presenti. È necessario che il paziente sia informato di ogni passo del programma terapeutico, che diventi parte attiva del suo cambiamento, e che accetti di fare sedute di un'ora e mezza e di effettuare anche delle sessioni nella vita reale. La fluenza, infatti, dallo studio si deve trasferire nelle situazioni quotidiane, in cui il paziente deve essere guidato ad affrontare eventi e responsabilità evitate per anni. Nei casi di balbuzie più grave, in cui la guarigione è impossibile, si dovrà lavorare sull'accettazione del miglioramento ottenuto da parte del paziente. Innanzitutto è importante insegnare al balbuziente una corretta respirazione; infatti, l'alterazione dei movimenti respiratori è costante, anche se variabile da caso a caso, e interessa soprattutto gli impulsi espiratori. In genere, l'inspirazione è brusca, l'espirazione è invece rapida, per cui il soggetto è costretto a parlare con l'aria residua, fenomeno alquanto penoso per il senso di mancanza o fame di aria. Il fenomeno respiratorio va considerato soltanto come un sintomo: infatti non è presente quando il soggetto tace o quando parla da solo. Un altro importante fattore da considerare è che la laringe del balbuziente presenta movimenti bruschi e resta fissata con contrattura e incoordinazione dei muscoli prelaringei. Per regolarizzare la respirazione e favorire lo sblocco dei muscoli prelaringei, si insegna al paziente che, quando sta per pronunciare la parola critica, deve inspirare profondamente, pensare alla parola e pronunciarla in fase espiratoria. Questa tecnica dovrà essere appresa dal paziente e messa in atto a ogni inizio di inceppamento; si compone delle seguenti fasi:
· inspirazione profonda;
· anticipazione cognitiva della frase;
· esposizione in fase espiratoria.
Dopo aver fatto un certo numero di esercizi su questo, si introduce la tecnica del time-out (Costello, 1975), che consiste nel far parlare il soggetto per un tempo stabilito (si parte da 5 minuti e gradualmente si aumenta fino ad arrivare a 25-30) su un argomento precedentemente concordato. Durante il monologo, il paziente deve mettere in pratica la tecnica precedente. Se non lo fa, dopo ogni episodio di balbuzie, è bloccato dal terapeuta con la parola «stop», e deve rimanere in silenzio per 10 secondi, durante i quali il terapeuta distoglie lo sguardo da lui; poi, a un cenno del terapeuta, deve ripetere la parola espirando. La pausa di 10 secondi permette di eliminare due potenti rinforzi: l'attenzione del terapeuta, che distoglie lo sguardo, e la riduzione dell'ansia dopo l'episodio di balbuzie, in quanto è stato bloccato. Con il progredire delle sedute si aumenta il numero dei minuti del monologo del paziente; è consigliabile partire da argomenti neutri fino ad arrivare a quelli più coinvolgenti dal punto di vista emotivo. I grafici vengono sempre costruiti assieme al paziente alla fine della registrazione. La soddisfazione del paziente per i progressi ottenuti funge da rinforzo e mantiene alta la motivazione. Quando il paziente è sufficientemente sicuro, si può passare alla fase di time-out autogestito, nel senso che il paziente, da solo, si blocca dopo ogni episodio di balbuzie, mantiene la pausa dei 10 secondi e autonomamente ripete la parola critica. Quando la fluenza è quasi raggiunta, si diminuisce gradualmente la pausa dei 10 secondi fino a eliminarla. Dopo il successo ottenuto in studio si prepara la seconda parte della terapia: quella delle uscite nella vita quotidiana con il paziente.
Contemporaneamente alle tecniche di instaurazione della fluenza, si insegna al paziente una tecnica di rilassamento. Le tecniche di rilassamento possono essere:
· il training autogeno di Schulz;
· il rilassamento progressivo di Jacobson;
· il rilassamento preipnotico.
Per eliminare ansie e paure specifiche che, di solito, accompagnano il disturbo, si usa la tecnica della desensibilizzazione sistematica, dapprima in immaginazione e poi in vivo. Il paziente elenca le situazioni per lui ansiogene e assieme al terapeuta costruisce una gerarchia in cui le situazioni stesse sono ordinate dalla meno alla più ansiogena. La costruzione della gerarchia è un punto molto importante della desensibilizzazione sistematica, perché una gerarchia sbagliata può compromettere il buon esito della procedura. Come strumenti per favorire la costruzione della stessa, possono essere usati il termometro dell'ansia e il biofeedbaek. Con l'utilizzo del primo, si chiede al paziente di valutare l'ansia evocata dalla situazione secondo una scala da 0 a 10, in cui lo 0 sta a indicare assenza di ansia e il 10 il massimo dell'ansia. Sicuramente più attendibile è il biofeedback, in cui si riesce a monitorare con più certezza il livello d'ansia. In seguito o parallelamente alla costruzione della gerarchia, il paziente è addestrato al training di rilassamento di Jacobson (o a un altro training). Quando il paziente ha acquisito una buona capacità di rilassarsi, gli si fa immaginare la situazione meno ansiogena della gerarchia e il paziente deve sostituire all'ansia, provata nella situazione, il rilassamento appreso, secondo il principio del controcondizionamento. La procedura viene ripetuta fino a esaurire tutte le situazioni della gerarchia. Successivamente si fa affrontare al paziente la situazione temuta nella realtà e lo si incoraggia a continuare a farlo.
La terapia cognitiva
Il paziente balbuziente ha una serie di idee, convinzioni e modi di pensare che contribuiscono a mantenere il suo disturbo, il suo disagio e la sua sofferenza.
Al paziente deve essere spiegato che sentimenti, emozioni e comportamento possono essere influenzati negativamente da particolari forme di ragionamento errato che prendono il nome di distorsioni cognitive; è quindi necessario correggere il programma mentale, il modo sbagliato di vedere il mondo, per migliorare lo stato d'animo. Ellis (1993) ha dimostrato che le persone ansiose e depresse, o comunque con una bassa autostima, hanno nel loro dialogo interno alcune idee irrazionali che devono essere confutate e sostituite con altre più razionali e realistiche, e che si analizzano assieme al paziente (ad es. bisogna essere amati, approvati e accettati da tutti; bisogna essere sempre all'altezza delle situazioni per considerarsi degni di valore; non si può sbagliare, il passato e il carattere sono come un marchio indelebile). Assieme al paziente queste distorsioni cognitive devono essere comprese e sostituite con modi più idonei di pensare. Dopo aver discusso con il paziente sulle distorsioni cognitive, si fornisce lo schema per la riflessione sui pensieri negativi, e i pensieri positivi. Una volta individuati i pensieri negativi e le distorsioni cognitive sottostanti, è importante imparare a metterli in discussione.
Il training assertivo
Il comportamento assertivo si basa sul rispetto di sé e dell'altro, sulla considerazione dei propri bisogni e sulla possibilità di negoziare in caso di conflitto.
Nei rapporti interpersonali, invece, il balbuziente oscilla tra due atteggiamenti opposti: dalla passività o compiacenza all'aggressività. La persona passiva non esprime le sue opinioni e i suoi bisogni e non difende i suoi diritti, perché ha paura di incrinare il rapporto con l'altro, di sembrare cattiva o egoista o di far soffrire l'altro. La sua eccessiva compiacenza la porta a subire troppo, fino a che, non potendone più, può interrompere bruscamente la sua relazione interpersonale oppure può esplodere diventando aggressiva.
È aggressiva, invece, la persona che esprime i suoi diritti, bisogni e critiche in modo inappropriato, attaccando, opprimendo, colpevolizzando o umiliando l'interlocutore. Il comportamento aggressivo può essere una reazione all'eccessiva compiacenza oppure un tentativo di dominare l'altro. La persona può essere prevalentemente passiva o prevalentemente aggressiva, oppure può essere aggressiva con alcune persone e compiacente con altre.
Per diventare assertivi, è importante saper distinguere tra quelli che sono i propri diritti, e quali quelli degli altri e i loro desideri o aspettative: non è giusto ledere i diritti degli altri, ma non è neanche giusto andare contro se stessi per soddisfare i desideri altrui. Oltre a fare degli esempi generici o tratti dalla vita del paziente, è spesso importante fare il role-playing delle situazioni più frequenti nella sua vita per fargli identificare gli errori nella comunicazione non verbale e verbale per poi strutturare attivamente il cambiamento, insegnando le abilità assertive. Dopo aver discusso su queste premesse con giochi di ruolo e situazioni frequenti nella vita del paziente che gli creano ansia e disagio, si individuano le modalità comportamentali errate e le convinzioni irrazionali che le sostengono. Si presentano poi al paziente e si esaminano con lui le abilità assertive, quali: come esprimere gli elogi, come riceverli, come esprimere i propri desideri, come disarmare la collera, come proteggersi dall'aggressività e dalla prepotenza altrui, come fare una critica, come ricevere una critica.
Il trattamento dei tic
Esistono vari disturbi del sistema muscolo-scheletrico che si manifestano attraverso risposte motorie disfunzionali come i tic. Il trattamento parte dal presupposto che il tic è un'abitudine appresa; è possibile perciò estinguerla, costruendone un'altra negativa o incompatibile con il disturbo, e lo si può fare attraverso la tecnica chiamata pratica massiva o negativa (Hersen e Eisler, 1973), che consiste nella ripetizione dei tic nel modo più accurato possibile, senza pause, durante un periodo stabilito. La procedura è la seguente:
· si pone il paziente davanti allo specchio con il compito di ripetere il tic, il più accuratamente possibile, per 5 minuti;
· si passa poi alla ripetizione del tic per 10 minuti;
· si procede alla ripetizione accurata del tic senza pause per 15 minuti;
· progressivamente, si aumentano i tempi fino al massimo di 45 minuti.
Questa procedura dovrà poi essere ripetuta con gli eventuali altri tic del paziente. Il presupposto di questa efficace tecnica è che con la ripetizione estenuante del tic si otterranno due grandi vantaggi: si instaurerà l'abitudine negativa di non produrre il tic, incompatibile con quella positiva di produrlo. Un'altra tecnica per eliminare il tic è quella di Azrin e Nunn (1973) basata sul controcondizionamento. In questa procedura, il pattern di comportamento disadattivo viene sostituito da un atto motorio con esso incompatibile. La tecnica comprende:
· una procedura di descrizione della risposta in cui il paziente descrive dettagliatamente i movimenti che costituiscono il tic, guardandosi allo specchio;
· una procedura di identificazione della risposta in cui al paziente viene insegnato a identificare e controllare ogni parte del movimento disadattivo;
· una procedura di allarme in cui il paziente identifica il movimento iniziale della catena motoria;
· una pratica della risposta competitiva nella quale si insegna al paziente a tendere per breve tempo i muscoli incompatibili con quelli del tic, impedendone la manifestazione stessa.
Le risposte motorie competitive e incompatibili con il tic devono essere poco appariscenti, in modo da non interferire con la vita normale del paziente e devono essere ripetute per circa 3 minuti ogni volta che si manifesta lo stimolo iniziale del tic.
Caso clinico di un adulto
Domenico, 32aa, figlio unico, abita in una famiglia costituita da: padre (impiegato di 59aa), madre (casalinga, 61aa) e una zia (disabile, sorella di mamma), richiede un incontro fissato tramite contatto telefonico, durante il quale viene riferito un problema di balbuzie che necessita di una risoluzione a breve termine a causa di difficoltà riscontrate in ambito lavorativo. Si effettuano inizialmente incontri settimanali della durata di circa 1h e mezzo ciascuno. Il lavoro inizialmente prevede l’uso dell'analisi funzionale del problema che si effettua identificando gli antecedenti, ossia le situazioni che elicitano la balbuzie, il tipo di disturbo, e le conseguenze che esso produce sugli altri. Durante la conversazione, che viene registrata, il paziente sa che vengono monitorati gli episodi di balbuzie e a seguito viene costruito il grafico con in ascissa i minuti di conversazione e in ordinata gli episodi di balbuzie, questo è utile anche come automonitoraggio del paziente durante la terapia. Sempre in fase di assessment si indaga sulla sua reale volontà a cambiare perché spesso l'atteggiamento verso la guarigione è ambivalente: da un lato il paziente vorrebbe parlare bene e liberarsi per sempre dalla balbuzie, dall'altro ha paura di non avere più la scusa per atteggiarsi a vittima e quindi evitare le responsabilità. Domenico riferisce i seguenti problemi: non potere lavorare a causa della balbuzie che non gli permette di parlare con disinvoltura al telefono e al citofono, non potere stabilire rapporti soddisfacenti con gli altri per via dell’ansia sociale, non trovare una ragazza che lo accetti per quello che è. L’area degli amici è carente, pertanto D. vive uno stato di solitudine per via della balbuzie; infatti le situazioni in cui il paziente non balbetta sono: quando è solo, quando è in compagnia di amici di vecchia data e parla di argomenti neutri o scherza, quando parla con interlocutori poco autorevoli come i bambini; balbetta, invece, con persone reputate autorevoli, con donne ritenute irraggiungibili, nei negozi in cui non è mai entrato, in famiglia, quando parla al telefono e al citofono, quando parla in pubblico; infine nell’area degli interessi D. segnala il canto e suonare il piano. Il periodo di assessment dura all’ incirca per sei sedute dipanate in colloquio iniziale, raccolta dei dati anamnestici e testologici, da cui si ricava un quadro preciso del paziente; per la comprensione del caso e per il trattamento cognitivo comportamentale si tiene in considerazione la teoria di Clark e Wells (Wells, A.,1997, 1999) sulla fobia sociale. Domenico, fin da piccolo, sente gli effetti di una serie di apprendimenti all’interno dell’ambito familiare: la madre, iperprotettiva, è eccessivamente attenta a tutti i movimenti e le esperienze del piccolo, dà disposizioni su ciò che deve fare e su ciò che non può fare; il padre, figura marginale nella famiglia, distante e quasi sempre assente, favorisce incertezza sul valore personale di D. e suscita la consapevolezza di ricevere uno scarso interesse e poca cura da parte del genitore. Le esperienze di apprendimento rilevanti nell’esordio e nel mantenimento del disturbo di Domenico si rifanno all’età infantile, quando, durante le interazioni con i familiari emerge la stranezza del suo linguaggio e il sudore eccessivo in situazioni in cui ha paura; da lì la nascita delle sue convinzioni disfunzionali precoci, sulla sua disfluenza verbale, sul tono della voce e sulla sua eccessiva sudorazione. Domenico, in situazioni attivanti, ha una percezione di sé grondante di sudore e con una voce femminea, per questo adotta comportamenti protettivi quali: uso smodato di fazzoletti e maglie di cotone, parlare poco e solo se interpellato. “I comportamenti protettivi messi in atto per evitare le conseguenze temute, in realtà perpetuano l’ansia, interferendo con le prestazioni sociali e il fatto che le conseguenze temute non si verifichino è attribuito ai comportamenti protettivi piuttosto che alle credenze erronee”. (Wells e coll. 1995-1997). In seguito ad una serie di eventi critici che gli provocano disagio nelle relazioni sociali, incomincia a percepire quest’ultime come pericolose e rappresentanti un potenziale fallimento (Errore cognitivo: sopravvalutazione del pericolo e svalutazione di sé). Questo esordio si rifà allo schema presente in Domenico che riguarda le regole relative alle prestazioni in situazioni pubbliche (“non riuscirò a parlare bene”, “se balbetto chissà cosa pensano di me, non devo mostrarmi ansioso”); per quel che riguarda lo schema su altri-mondo, Domenico pensa “ho paura di essere scoperto balbuziente e insicuro, gli altri mi rifiutano appena entro in ansia o a disagio e balbetto”. L’ ipotesi, confermata dal soggetto, è che egli abbia una bassa autostima alla base del disturbo; e che usi un dialogo interno negativo che gli preclude alcune possibilità e lo rallenta nelle decisioni; per cui l’obiettivo finale, concordato con il paziente, è la normalizzazione dell’eloquio, il raggiungimento dell’autostima e l’accettazione di sé ed essere assertivo. Questo obiettivo a lungo termine può essere perseguito tramite i sotto-obiettivi riguardanti la valutazione del grado di balbuzie: la comprensione da parte del paziente del modello della fobia sociale, della connessione tra pensiero, emozione e comportamento, l’identificazione e la comprensione delle variabili di mantenimento del disturbo, l’identificazione dei principali errori di pensiero, il lavoro sul dialogo interno, la riduzione della balbuzie come monitoraggio in seduta e come monitoraggio esterno; in ultimo il decremento dell’ansia in situazioni specifiche (citofono, telefono, situazioni pubbliche) e l’incremento dell’uso del telefono e del citofono. Il Trattamento si svolge secondo un profilarsi di sedute, quali la prima di valutazione della balbuzie ed esercizi di respirazione; in questa prima fase il paziente viene invitato ad una valutazione della balbuzie, tramite monitoraggio cronometrato e la registrazione, in cui si individuano in media le volte che ha avuto tartagliamento per intraprendere seguitamente il trattamento vero e proprio con le tecniche di instaurazione della fluenza e le tecniche di respirazione. Viene effettuata la registrazione dei blocchi e il paziente valuta soggettivamente la durata del suo blocco e lo confronta con quello cronometrato dal terapeuta, affermando “non è così lungo come mi sembrava”. Seguono esercizi di inspirazione e fonazione in fase espiratoria, secondo questa sequenza:
1. inspirazione profonda;
2. anticipazione cognitiva della frase da pronunciare;
3. esposizione della frase in fase espiratoria;
Dapprima il soggetto pronuncia suoni isolati in fase espiratoria, poi parole e frasi molto brevi; l’esercizio viene dato da ripetere a casa. Nella seconda seduta viene introdotto il modello cognitivo dell’ansia sociale e insieme al paziente si identificano le situazioni o i luoghi che lui teme o che evita o non riesce ad affrontare. Si condivide il Modello cognitivo dell’Ansia Sociale (Wells), tramite l’esame di una situazione critica e si rilevano alcuni errori cognitivi del soggetto; quindi si delinea un percorso di rivalutazione personale. Nel corso delle sedute, il paziente riporta alcuni eventi, in cui si ravvisa la presenza di errori cognitivi di doverizzazione e perfezionismo e dimostra di intraprendere un graduale percorso di presa di coscienza di sé e di ciò che promuove determinati comportamenti ed emozioni. Viene, gradualmente, applicata la terapia della balbuzie secondo il metodo della Dott.ssa Strocchi, psicologa e psicoterapeuta, che verte in un monologo iniziale di 5’ con registrazione, davanti una sua foto da bambino (5aa); viene mostrata al paziente la tecnica della respirazione per ridurre l’ansia e, durante l’esercizio, il soggetto viene invitato ad introdurre la tecnica di respirazione. Per esaminare l’autostima di D. ci si avvale di una scheda sulle qualità del soggetto (M.C. Strocchi; 2006) in cui il paziente descrive se stesso con 10 aggettivi (4 positivi e 6 negativi) e appare un quadro di svalutazione personale; da ciò si evince una corrispondenza tra la stima di sé, la qualità delle emozioni e i propri comportamenti. Le sedute successive si avvalgono della ristrutturazione cognitiva ripresa per il resto della terapia; viene operata, per gradi, una ristrutturazione dei processi cognitivi e la costruzione di pensieri competitivi. Progressivamente si deve modificare il proprio dialogo interno negativo; attraverso la lettura dei 52 pensieri per volersi bene (E. Rolla. 2006) si porta il paziente a riflettere su come le aspettative personali influenzino il dialogo interno e il comportamento del soggetto. La terapia della balbuzie segue il suo corso con un avanzamento del tempo di prestazione. Viene inoltrata una psicoeducazione sull’assertività, in cui si presentano comportamenti aggressivi, passivi e assertivi; si discute e si analizza la sua eccessiva compiacenza. Trasversalmente a queste sedute, viene intrapreso un training assertivo, presentando la Carta dei diritti assertivi tra cui D. sceglie quelli che riesce ad esercitare facilmente e quelli che non riesce a esercitare con relativa percentuale; si stila un elenco dei diritti che D. esercita con notevole difficoltà, in base alla percentuale secondo cui sente suoi quei diritti (da 0 a 50):
1. diritto di prendersi il tempo necessario prima di dare una risposta (5);
2. diritto di fare a meno di quello che è il proprio limite dell’umanamente possibile (5);
3. diritto di sbagliare (10);
4. diritto di avere e manifestare emozioni (20);
5. diritto di cambiare idea (30);
6. diritto di sentirsi bene con noi stessi indipendentemente dalle condizioni degli altri (30).
Gli altri non inseriti sono percepiti da D come suoi diritti al 50%. Progressivamente inizia una risalita, diminuisce la balbuzie con monitoraggio in studio e Domenico apprende e mette in atto le tecniche assertive di attenzione selettiva e disco rotto; il soggetto mantiene in modo calmo, le proprie posizioni, ripetendo le proprie richieste o esigenze. Continua l’esposizione in vivo al compimento dell’azione di parlare al citofono, con doppia rilevazione dell’ansia, la quale diminuisce in percentuale mentre aumentano le situazioni in cui essa è assente; la balbuzie è quasi assente, se non nei momenti altamente ansiogeni.
Data | I Rilevazione | II Rilevazione |
06/06/2007 | 25,00% | 25,00% |
11/06/2007 | 50,00% | 25,00% |
15/06/2007 | 50,00% | 25,00% |
21/06/2007 | 50,00% | 0,00% |
25/06/2007 | 75,00% | 25,00% |
28/06/2007 | 50,00% | 25,00% |
03/07/2007 | 25,00% | 25,00% |
06/07/2007 | 50,00% | 25,00% |
09/07/2007 | 50,00% | 25,00% |
12/07/2007 | 50,00% | 25,00% |
Figura 1: Rilevazioni effettuate durante l’esposizione in vivo dell’azione
di parlare al citofono nel periodo che va dal 06-06-07 al 12-07-07.
Nell’ultimo periodo della terapia, nel paziente si denotano dei miglioramenti nell’eloquio, ma anche una maggiore sicurezza nel compiere le azioni di citofonare, di telefonare e di svolgere svariate commissioni. Durante il periodo di follow-up il paziente effettua prove di suono e canto in 3 chiese differenti e il suo pensiero è: “sono guarito!”. La balbuzie non esiste più nello schema di Domenico e si trasforma in eloquio (mentalizzazione della normalità). L’obiettivo di decrementare l’ansia è stato raggiunto, così come quello di incrementare l’uso del telefono e del citofono. Attraverso l’ascolto empatico del terapeuta, il paziente impara l’ascolto interiore e quindi a riconoscere e ad esprimere con nuova chiarezza quali sono i suoi reali e profondi bisogni e acquista, nel tempo, fiducia nelle proprie capacità, scopre le tante qualità coperte dall’ombra della balbuzie, si impadronisce dell’arte dello scrivere per distinguere le proprie emozioni, impara tante cose nuove, evitate in passato per paura, e se avviene un “incidente” (come lui chiama le situazioni in cui si blocca o non parla come vorrebbe) non mette in discussione quanto di buono ha realizzato fino ad ora. Domenico è in grado di comprendere che si provano emozioni negative che portano ad agire in modo disfunzionale, è in grado di discriminare tra pensieri irrazionali e alternative razionali, neutralizza i pensieri disfunzionali con cognizioni nuove e comportamenti adeguati.
“Alcune regole del buon eloquio di Domenico” scritte da lui e riportate con il suo formato originale
· Nella balbuzie non c’è nulla di cui vergognarsi, balbettare non è un comportamento volontario: in quel momento si parla meglio che si può.
· La paura di esporsi nell’eloquio si vince progressivamente con l’esposizione graduale.
· Migliorare la parola e liberarla dalle manette aiuta il naturale fluire.
· Imparare nuovi modi di parlare significa articolare in modo più morbido e rilassato … senza tendere al perfezionismo.
· Più si articola meglio, più si ha fiducia in se stessi.
· Aprire di più la bocca per articolare meglio le parole perché “ la bocca è la porta dei suoni: da una porta chiusa non si passa, da una socchiusa è difficile passare mentre da una porta aperta si passa facilmente”. Così avviene per le parole, se la bocca è bene aperta il suono uscirà meglio.
· Se si rallenta l’eloquio, le probabilità di avere una discreta fluenza verbale aumentano.
· Lascia che le parole vengano fuori lentamente.
· Comunicare non è solo tradurre il pensiero in una parola raffinata, ma far nascere nell’interlocutore immagini, idee, emozioni e sentimenti.
· Le nostre aspettative influenzano il nostro comportamento.
· Pensare non equivale a fare. Ma più noi crediamo sia possibile realizzare qualcosa, più noi proviamo e, talvolta, riusciamo nel nostro intento.
· L’ansia non passerà se non affronto la situazione.
· Non mi farò boicottare dalle mie paure.
· Senza la paura non esiste il coraggio.
· Non dobbiamo dimostrare agli altri di valere.
· È necessario ridefinire la guarigione non come il parlare perfettamente, ma come l’accettare di sbagliare normalmente. Se si entra in questa ottica di serena accettazione si creano nel tempo i presupposti per una parola normale.
· La guarigione non è la perfezione bensì la normalità.
· Il percorso che sto facendo sta fornendo l’opportunità e la motivazione per fare nascere in me in una parola nuove prospettive di cui godere per il resto della vita.
· Spesso l’anticipazione negativa degli eventi attiva risposte emotive che influiscono sulla prestazione.
· Più abilità acquisiamo, minore sarà il disagio. È un’ abilità non sfuggire il” disagio”, ma affrontarlo.
· Il primo dovere è verso se stessi; se tu sei sereno, chi ti è vicino potrà beneficiarne.
· Nell’immaginare il tuo futuro non dire: “ Vorrei, potrei, dovrei”. Solo: “faccio” diventa il tuo futuro.
· Imparare ad affrontare le situazioni che procurano ansia e tenerle sotto controllo, rappresenta un metodo duraturo e efficace per eliminare l’ansia.
· L’ evitamento delle situazioni temute rappresenta un potente fattore di mantenimento del disturbo; affrontare le situazioni deve diventare una strategia stabile..quindi evitare di evitare!
· Ricordatevi che il perfezionismo è un nemico: sbagliare è umano!
Livelli di ansia e balbuzie rilevata all'inizio ed alla conclusione del trattamento
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Figura 2: Livelli di ansia rilevata all’inizio ed alla conclusione del trattamento.
Figura 3: Livelli di balbuzie rilevata all’inizio ed alla conclusione del trattamento
Dr.ssa Genny Sagona
Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale - Palermo
genny.sagona@gmail.com - Cell. 340 2841758
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