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IL FETICISTA E’ FELICE?
PSICOLOGIA DEL FETICISMO
Il piacere dei preliminari amorosi, il petting, gli specchi nelle camere da letto…. Ma esiste anche la perversione che assomiglia, come eccesso, alla bulimia.
E…. UNA “SFIDA” PER I NOSTRI LETTORI.
NE PARLIAMO, IN ESCLUSIVA PER IT-MONDADORI, CON ANTONIO GRANDE, PSICOTERAPEUTA E SESSUOLOGO BOLOGNESE, DIRETTORE DEL CENTRO STUDI DI PSICOTERAPIA "ARCA" DI BOLOGNA E DIRETTORE SCIENTIFICO DELLA RIVISTA DI PSICOLOGIA, PSICOTERAPIA E SESSUOLOGIA. PROFESSIONISTA DI PROFONDA CULTURA E DOTATO DI GRANDE IRONIA E SIMPATIA.
DI BRUNO ROSSI*
Dott. Grande, come si spiega il fatto che il feticismo sia passato indenne attraverso i secoli, i millenni, conservando il suo spazio in un’epoca tecnologicamente e scientificamente avanzata come la nostra che del feticismo dovrebbe, in teoria, essere la negazione?
Beh credo che la sua domanda vada dritto al cuore del problema. La creazione del feticcio corrisponde al bisogno profondo di padroneggiare l’angoscia, sia essa l’angoscia (normale) del primitivo, e non soltanto del primitivo…, di fronte ai fenomeni naturali incontrollabili, ai problemi dell’approvvigionamento, alle malattie, alla morte o l’angoscia del bambino, legata a difficoltà incontrate nel corso dello sviluppo alle quali non è stato possibile dare una più adeguata soluzione. Sono quindi pienamente d’accordo con lei quando ipotizza che la costruzione del feticcio sia il prodotto del confrontarsi con un problema, vissuto come inaffrontabile e al di sopra dei propri mezzi di controllo. Per quanto le scoperte scientifiche e la civiltà tecnologica abbiano certamente aumentato di molto la nostra comprensione del mondo e la capacità di influire su di esso, anche se non solo positivamente, e la psicologia, pensiamo solo agli apporti psicoanalitici, ha arricchito profondamente la conoscenza delle possibili problematiche connesse allo sviluppo infantile, questo non fa sì che come genere umano non ci si senta in balia degli accidenti più svariati e che la “perfetta” crescita dei nostri figli non sia che una chimera irraggiungibile. Si è quindi facili profeti nel dire che il feticcio nell’uso più svariato, religioso o meno, e il feticismo, inteso come perversione sessuale, non spariranno mai.
Al feticismo viene automaticamente associata, nella testa dei più, una valenza negativa. E’ corretto?
La negatività, come lei stesso ha ricordato, è insita nell’etimologia stessa della parola: Factitium in latino, da Factum, vuole appunto dire manufatto, artificiale, falso idolo; in portoghese è diventato Fetiço, cioè oggetto incantato, sortilegio (leggi Fattura). Potremmo estrapolare: proprio di chi si costruisce un falso oggetto incantato e lo idolatra. Sullo sfondo c’è l’idea di chi è preso in una specie di sortilegio o attraverso di esso pensa di avere un potere sul mondo. E’ affascinante notare le assonanze con le osservazioni e con le spiegazioni psicoanalitiche del feticismo.
Venendo a noi, è difficile non associare nella nostra cultura al feticismo e al feticista pratiche ai margini della norma, interessi molto particolari soprattutto in campo sessuale, probabilmente maleodoranti o viziosi, sicuramente strani. Il termine feticista sa di manie, di fisse, magari sottilmente attraente, ma un po’ malato, fa pensare all’essere schiavo di qualcosa. Per fortuna c’è Freud a ricordarci che la matrice di tutte le stranezze è in ognuno di noi e come sia facile cercare di liberarci di qualcosa che ci dà disagio e angoscia puntando il dito, mentre ce ne fantastichiamo immuni. In quanto costruzione mentale che aiuta a contenere le tensioni e l’angoscia, il feticismo ha una sua positività, fino a quando per lo meno non si riesce, ammesso che si riesca, a sostituirlo con qualcosa di più maturo, ed è una strutturazione tipicamente umana, realizzata con i mattoni che si trovano nella mente di ognuno di noi e in cui, in parte, tutti potremmo riconoscerci.
Alla domanda “sei feticista?” la stragrande maggioranza risponde “assolutamente no……!!”. Il feticismo è davvero una realtà così marginale?
Le associazioni di carattere, più o meno vagamente, spregiativo, che, come abbiamo detto prima, suscita nella maggior parte delle persone il concetto di feticista, ci spiegano come sia certamente difficile di primo acchito fermarsi a riflettere se lo si è o no. Al di là però della vera e propria perversione sessuale, che riguarda poche persone o delle tracce di aspetti arcaici feticisti riscontrabili nella sessualità e nelle fantasie sessuali di molti di noi, il concetto di “idolatria di falsi oggetti incantati” dovrebbe farci riflettere tutti su quanto spazio possa avere il feticismo nella nostra vita.
Io ho sempre pensato che tutte le religioni, non esclusa quella cattolica, finiscano per essere feticistiche…
Sia detto con il massimo rispetto e comprensione, visto che tutto questo fa parte della mia stessa cultura e del mio sentire, siamo sicuri che non abbia nulla a che fare con il feticismo il nostro sottile e oscuro turbamento di fronte alle reliquie dei santi (lasciando da parte i miracoli ad esse connessi), l’acqua santa venduta in bottigliette, la nostra emozione di fronte ad alcune statue religiose pregne di significato, ad esempio per quanto mi riguarda la Madonna di San Luca o quella di Siracusa, il bisogno di toccare reperti religiosi o altro? L’elenco, al di là dell’ambito religioso, potrebbe essere, certamente, ancora lungo, ma rimanendo in questo mi viene in mente una stampa del Cristo con il cuore sanguinante che avevamo in casa fin da quando ero piccolo, protetta da un vetro e all’interno di una cornice di nessun valore. Vedevo spesso mio nonno o mia nonna pregare sotto di essa. Ora mi domando: se per qualsiasi accidente questo quadretto fosse caduto e il foglio di carta su cui era impressa l’immagine del Cristo si fosse danneggiato in modo irreversibile, avremmo avuto il coraggio di metterlo via o buttarlo da qualche parte, come sarebbe stato logico, senza sentirci in qualche modo sacrileghi? Credo di no.
Perché feticismo fa rima con erotismo ?
Dicevamo prima come il feticismo abbia qualcosa di sottilmente attraente.
L’erotismo ha a che fare con l’attrazione erotica, l’essere attratti cioè spinti verso qualcuno o qualcosa che suscita appunto Eros. In questo movimento “verso” è implicito uno spazio, fisico o mentale; non siamo quindi nella zona della fusione amorosa, bensì del desiderio. In questo spazio, regno quindi dello sguardo, dei suoni, dei contatti parziali, si inserisce bene il feticismo con la sua attrazione per gli indumenti, intimi e non, per gli accessori, per le varie parti o aspetti del corpo.
Naturalmente, riferendoci, in questo senso, a un fenomeno più o meno generale (quanti sono ad esempio i ragazzi o i mariti che chiedono o vorrebbero che la partner indossasse biancheria erotica?), non stiamo parlando del feticismo in quanto perversione sessuale, ma di un feticismo che si integra nella sessualità normale delle persone. Anche qui, per aiutarci un po’ a capire, pur non approfondendo troppo, ci viene in aiuto Freud, e la sua concezione del bambino come di un perverso polimorfo. Con questi due termini, che non fanno forse un bell’effetto, Freud ci vuol dire che nel bambino sono riscontrabili i germi di tutte le perversioni future dell’adulto, si tratti di feticismo, esibizionismo, voyeurismo, sadomasochismo, ecc. Questi germi però, se le cose vanno come devono andare, non produrranno perversioni vere e proprie, ma, mai del tutto abbandonate, si integreranno nella sessualità adulta e verranno a far parte soprattutto del piacere preliminare e del petting. In base alle proprie peculiarità, ci si potrà quindi eccitare esibendosi in qualche modo o guardando la partner o guardandosi in coppia con lei.
….gli specchi nelle camere?
Esattamente, ma anche mordicchiando o essendo mordicchiati, alla vista o al contatto con certi indumenti, accessori o parti del corpo, ecc. E’ proprio questa base antica e comune che può quindi aiutarci, per un certo verso, a capire come le persone possano coniugare l’erotismo al feticismo e viceversa.
Allora il feticismo quando diventa deviazione?
Non è una risposta così facile da dare, come sembrerebbe. La linea di demarcazione fra normalità e patologia non è cosi precisa e, quindi, rassicurante, come, forse, vorremmo che fosse. Abbiamo appena detto, del resto, come le radici di tutte le perversioni si trovino nella mente di ogni bambino e di come certi aspetti, ad esse connesse, possano ritrovarsi nelle fantasie e nel comportamento di tutti noi. Nel tempo vari criteri sono stati prodotti per stabilire cosa sia da considerare normale e cosa non lo sia, in primis il criterio della finalità biologica della sessualità, ma attualmente ritengo uno fra i criteri più attendibili, che va al cuore del problema, sia quello
…..del DSM IV?
Sì, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali così caro spesso ai navigatori della rete, e di cui non posso certo ritenermi, per vari motivi, un estimatore, pur riconoscendone gli immancabili pregi. Ce l’ho qui sul tavolo. Parlando del feticismo dice: ”Le fantasie, gli impulsi sessuali o i comportamenti causano disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre importanti aree del funzionamento.”
Questo criterio mette quindi in risalto il malessere della persona e il disadattamento in aree importanti della vita di tutti noi, come conseguenza e come marker di un feticismo patologico. Non si può non riflettere come questi parametri siano esattamente il contrario di quello che dovrebbe caratterizzare una sessualità felice, che esita in un senso di benessere e ci aiuta a lavorare, a star bene con gli altri e a funzionar meglio in tutti i settori della nostra vita. La perversione, sottolinea il DSM IV, in quanto tale, è caratterizzata e accompagnata dalla sofferenza o dal disadattamento. Una spinta pulsionale abbastanza sana può essere in qualche modo integrata nella realtà e produrre benessere, una spinta “abbastanza” malata, molto più difficilmente.
Eppure la perversione esiste…
Diciamo che l’idea comune nell’immaginario collettivo, del perverso felice dedito ai suoi piaceri, ne esce piuttosto ridimensionata e chiunque, infatti, abbia avuto l’occasione di conoscere da vicino persone sessualmente perverse, non può che essere d’accordo.
Per il perverso, l’oggetto della sua perversione può essere effettivamente “la cosa più bella”, la cosa più bella della sua vita, ma questo piacere è ottenuto a grandissimo prezzo. I criteri della sofferenza e del disadattamento racchiudono in sé gli altri criteri che si sono spinti più avanti nella osservazione, nella conoscenza e nella comprensione delle condotte perverse e, cioè, quelli psicoanalitici. Gli studi psicoanalitici sottolineano il carattere di urgenza e ineludibilità, oltre che di coattività e stereotipia, delle condotte perverse, e questo è comprensibile in quanto, come abbiamo detto fin dall’inizio, il fine del feticismo è proprio quello di padroneggiare l’angoscia e, con l’angoscia, si ragiona poco.
Il perverso si considera un essere felice…
Diremmo che il perverso è felice e soddisfatto, oltre che libero, nelle sue condotte sessuali, come può esserlo una bulimica nelle sue condotte alimentari e come il suo fine sia autenticamente sessuale come quello della bulimica è autenticamente alimentare. La libertà, che è in un qualche modo una caratteristica della sessualità sana, che per suo carattere intrinseco tende a essere, in qualche modo, fluida e cangiante, è sconosciuta nella condotta perversa che mette in atto un copione stabilito nell’infanzia, rigido e stereotipato, che si ripete all’incirca sempre uguale a se stesso, caratterizzato per di più, come ho sottolineato prima, da urgenza, coattività e ineludibilità. Tutto questo può portare a non poter tenere nel giusto conto e a cozzare contro le esigenze delle relazioni sociali, lavorative, ecc. e a stati di infelicità di colpa e di depressione, soprattutto nei momenti di lucidità. Naturalmente più malati si è e più sarà difficile trovare una partner che si sintonizzi con i propri bisogni e meno si funzionerà a livello fisiologico sessuale. Questo non potrà certo aiutare il benessere.
Esistono persone più predisposte a forme di feticismo o situazioni e momenti della vita che ci rendono più “sensibili” ad esse?
Intanto bisogna ricordare che quasi tutti i soggetti feticisti, come del resto i perversi in genere, sono maschi e le pochissime femmine che sono state segnalate avevano caratteristiche maschili. Detto questo, le ipotesi di Freud che lei ha ricordato in apertura del suo articolo, non possono non essere tenute in considerazione. Ne deriva, secondo queste ipotesi, che i bambini particolarmente sensibili, per vari motivi, alle angosce di castrazione sono più a rischio di altri di sviluppare forme di feticismo. Capisco però che il concetto non sia di facile comprensione né spiegazione in uno spazio ristretto. In base al tipo di reazione che il loro io riuscirà a mettere in atto, potranno sviluppare difese di tipo feticistico, difese che saranno riesumate nella pubertà e nell’adolescenza, che è il periodo in cui in genere le perversioni fanno la loro comparsa, nel tentativo di contenere le angosce legate alla crescita. Altri studi, allargando il contesto, riconoscono sì che la strutturazione feticistica venga definita stabilmente durante la fase fallica dello sviluppo (quella a cui si riferisce Freud, circa fra i tre e i sei anni), ma ne riconoscono i precursori addirittura, come fa la micropsicoanalisi (una forma particolare di terapia che si ispira alla psicoanalisi), in difficoltà verificatisi durante la vita intrauterina, che fanno sì che il bambino, in accordo in questo con la propria madre, faccia fatica ad accettare la propria nascita e fantastichi, attraverso le fantasie e gli atti feticistici, il ritorno ad una fusionalità con il corpo materno. Venendo più avanti nello sviluppo, Winnicott, come ricorda lei, pensa alla deriva feticistica come ad una degenerazione dell’oggetto transizionale, che è magari quell’angolo della propria copertina o del lenzuolino, qualche filo di lana o una parola come ricorda Winnicott, che il bambino utilizza nei momenti d’ansia o per rassicurarsi durante l’addormentamento. Mentre in uno sviluppo sano l’oggetto transazionale aiuta il bambino a sopportare la paura della perdita e dell’allontanamento dalla madre, aiutandolo a” traghettarsi” verso l’autonomia, se l’esperienza della perdita e/o separazione è vissuta come troppo angosciante e insopportabile, l’oggetto transizionale servirà invece per negare in toto la realtà di questa separazione e/o di questa perdita. L’elaborazione e l’accettazione di queste ultime non potranno quindi andare avanti e l’oggetto transazionale, superinvestito per così dire di importanza, si trasformerà in un oggetto feticistico che, dovendo negare una realtà della vita e dell’esperienza, sarà destinato ad un uso coatto in quanto, dovendo mascherare una realtà appunto, sarà sempre un lenzuolino troppo corto. Non possiamo non ricordare a questo punto, quello che abbiamo detto prima, sulle caratteristiche della perversione. Tutto questo confluirà poi nelle dinamiche sottolineate da Freud, costituendo quelle strutturazioni mentali a cui regredirà poi l’adolescente, in preda alle sue difficoltà. Per finire difficoltà nello sviluppo, esperienze di perdite e separazioni ritenute o vissute come non sopportabili, vissuti di debolezza ed inadeguatezza richiamate poi da esperienze dell’adolescenza, unite al tentativo di utilizzare soprattutto il meccanismo della negazione per controllare tutto questo, predispongono allo sviluppo di forme feticistiche.
Dottor Grande…..
Sì, capisco che ho dovuto brevemente sintetizzare problematiche difficili, comunque chi fra i suoi lettori fosse interessato ad approfondire quello che ho detto, può utilizzare i riferimenti che ho citato.
Io veramente intendevo dire che mi stavo perdendo…..
Entriamo in argomenti più semplici. Lo zainetto, e solo quello, per il quale il bambino è capace di piantare un capriccio senza fine, è feticismo? E la borsa griffata per la quale una donna è disposta a qualunque sacrificio economico? E la scarpiera colma di scarpe di tutte le fogge e di tutti i colori? E il cassetto pieno di orecchini e collane? E l’auto tenuta con più cura di un figlio? E via a seguire…..
La sua domanda è interessante, ma ci porterebbe troppo lontano. Dovremmo analizzare le relazioni esistenti fra le problematiche feticistiche e quelle narcisistiche e ossessive. Facciamo così: sfidiamo i lettori ad approfondire per conto loro l’argomento e magari a trovare da soli qualche risposta. In fondo sono situazioni che riguardano per qualche aspetto tutti noi e sarebbe interessante sentire poi magari cosa ne pensano…
Dottore, dica la verità, lei ha un suo feticcio…?
Il primo impulso sarebbe naturalmente quello di risponderle: “assolutamente no…!!”
A parte però quanto già detto (ricorda il discorso su certi aspetti della religiosità?), mi vengono in mente, riflettendoci un attimo, le penne stilografiche che uso nel mio lavoro. A parte la bellezza e il simbolismo intrinseco dell’oggetto… pene? seno?, è piacevole sentire il pennino che scorre morbidamente sul foglio, la superficie liscia del corpo della penna mentre la si impugna e dopo qualche ora che scrivo è difficile dire se è la penna ad essere un prolungamento della mano o viceversa. Per finire, difficilmente rimarrei indifferente se dovessi prestarle per qualche giorno e, in ultimo, confesso di aver fatto la fantasia che un amico più anziano di me che ne fa collezione, accommiatandosi, nel rispetto dell’ordine naturale delle cose, prima di me dalla vita, me ne lasciasse in eredità un cofanetto (spero che non legga questa intervista o, al peggio, di avergli dato un’idea. Le vieto naturalmente qualsiasi interpretazione simbolica…). Può aver a che fare questo col feticismo? Chissà!
Bruno Rossi
Giornalista free lance. Dal 1972, cronista e inviato de Il Messaggero di Roma. Ha collaborato con: Autoggi, Panorama Auto (Mondadori), Donna Moderna, Borsa & Finanza, Il Resto del Carlino, Milano Finanza, MF, ed i periodici di ClassEditori. Ha curato pubblicazioni diverse (le ultime per MF nel 2006 e 2009), RAI 3 ("Onbusdman") e in numerose altre testate nazionali. Dal 1982 Formatore.
Dr. Antonio Grande - Bologna
Specialista in Psicoterapia e in Sessuologia Clinica - Diagnosi, Consulenza e Terapia delle Disfunzioni sessuali maschili, femminili e di coppia. Direttore del Centro studi di Psicoterapia "Arca" e Direttore Scientifico della Rivista di Psicologia Psicoterapia e Sessuologia "ARCA ".
Articolo Pubblicato in IT-Mondadori 2011
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