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QUANDO IL CIBO E' UN NEMICO: ANGINOFOBIA
Dr.ssa Genny Sagona - Psicologo Specialista in Psicoterapia Cognitivo - Comportamentale Palermo
L’ Anginofobia è una fobia specifica come definita dal DSMV e descrive la paura irrazionale, esagerata, di soffocare a causa di qualcosa che potrebbe andare di traverso: alimenti, pillole, sostanze liquide o, in casi estremi la stessa saliva, ciò comporta selezione del cibo, in qualità e quantità evitando altri al fine di impedire che si verifichi lo stato temuto.
Dai dati concessi da un gruppo di anginofobia su fb che ha svariati membri con questa fobia si rilevano i dati a seguire:
La presenza dello stimolo fobico genera nella persona una reazione di allarme che può assumere la forma di attacco di panico; avviene un coinvolgimento dell’ipotalamo, dell’ipofisi, della ghiandola surrenale che oltre a generare ansia generano a cascata risposte fisiche come: difficoltà respiratorie, aumento del battito cardiaco, formicolii, confusione, vertigini, nausea.
Possono essere isolate tre diverse componenti del disturbo da anginofobia: ideazione, emozione-sensazione, comportamento: chi soffre di un disturbo da anginofobia mette in pratica tutta una serie di comportamenti protettivi finalizzati a ridurre il rischio o evitare il pericolo (mangiare lentamente, bere cibi sminuzzati, evitare certi cibi o bevande, monitorare il processo di deglutizione, evitare di mangiare in pubblico o da soli, etc etc) il cui unico risultato, dopo averlo scelto o agito, è quello di ridurre temporaneamente lo stato d’ ansia o paura..
Il pensiero può essere anticipatorio, la persona inizia a pensare al momento del pasto e riflette incessantemente sulle possibili soluzioni da adottare per evitare il pericolo, ma allo stesso tempo quel pericolo lo immagina e vive come se dovesse accadere realmente quindi entra in uno stato di tensione e questo genera quelle stesse sensazioni da cui vorremmo fuggire.
Questa particolare forma di fobia, come ogni altro disturbo d’ansia, può essere risolto efficacemente, soprattutto se affrontata in tempo e con il giusto approccio. La psicoterapia cognitivo comportamentale, soprattutto nel modello ACT (Acceptanceand Commitment Therapy) rappresenta oggi uno standard di eccellenza e permette di affrontare il disturbo in modo risolutivo, riducendo il rischio di possibili future ricadute. Principio centrale, di questo trattamento, è che non c’è nulla di rotto o malato nella persona che lo agisce. I comportamenti che agiamo vengono affrontati essenzialmente nella loro maggiore o minore utilità rispetto agli scopi personali. In una prima fase, si lavora per valutare quanto utili siano effettivamente state utili le strategie utilizzate per fronteggiare la paura di soffocare o stare male. Se ne valuta l’efficacia a breve e lungo termine e quasi sempre ci si accorge che nel breve termine si ottiene un breve momento di sollievo ma a lungo andare si diventa schiavi dei propri pensieri, delle proprie rinunce e questo contribuisce a rendere più complessa e difficile la nostra vita, con conseguente stati di sofferenza. Il processo di terapia ha l’obiettivo di sostenere le persone a notare il reale potere dei pensieri imparando a trattarli come tali, prendendone le distanze, piuttosto che esserne guidati e travolti. Obiettivo della terapia non è ridurre o sbarazzarsi delle sensazioni fisiche o dei pensieri quanto piuttosto ampliare il proprio repertorio di scelte e comportamenti anche in presenza di sensazioni e pensieri che a volte vorremmo non provare. In terapia ci si allena ad agire efficacemente, e quindi a poter consumare un alimento o bere una bevanda riducendo su tali scelte il potere che in passato abbiamo attribuito alla nostra mente. Si impara a vivere efficacemente il qui e ora e meno tra i pensieri che la nostra mente ci racconta di continuo.
Presentazione del caso
Laura (nome di fantasia), 19 aa, giunge in terapia con un peso di 47 kg mentre dovrebbe pesare 55kg, ha paura di mangiare perché le cose possono andare di traverso, da 5 anni circa, ha difficoltà a sentire fame e si sente piena precocemente.
Evita il cibo sulla base di caratteristiche sensoriali del cibo legate alla consistenza e la preoccupazione collegata alle conseguenze del cibo sono correlate alla paura di soffocare.
I primi episodi che fanno scaturire la paura risalgono a momenti specifici: uno in cui mangia la pizza con cipolla e la nonna le dice di mettere attenzione per non affogarsi e uno in cui mangia una polpettina avvertendo che un pezzetto va di traverso; racconta di non potere viaggiare per timore di non riuscire a mangiare e di non andare al ristorante per lo stesso motivo.
Dal CBA si osservano dati relativi al controllo e a paure di allontanamento; dal Millon i dati emergenti indicano un disturbo ansioso.
Proposta di trattamento
Visti gli obiettivi a lungo termine di mangiare con tranquillità, avere un equilibrio emotivo ed essere libera di viaggiare senza pensieri relativi al cibo, consequenziali agli obiettivi a breve termine di descrizione di quantità e qualità di cibi ingeriti o da ingerire in scala SUD (unità soggettiva di disagio) e intermedi di esposizione programmata a vari cibi per diminuire l’ansia, la proposta di trattamento si avvale di un lavoro su:
- sintomi cognitivi (non riesco a gestire, sono difettosa, controllo)
- sintomi comportamentali (evitamento, selettività, masticazione continua, nascondere il cibo)
- sintomi emotivi (ansia, basso tono di umore)
- sintomi motivazionali (disagio dovuto a insoddisfazione personale)
- sintomi fisiologici (difficoltà respiratoria, tensione muscolare, disturbi gastrointestinali)
Quando conosco Laura lei mangia solamente pastina n.17 e sughetti vari di carne, verdure…ecc…nulla di solido e il pensiero di mangiare qualcosa di diverso genera ansia pari ad una percentuale che lei individua in un 85%.
La storia di vita di L. evidenzia 2 traumi collegati alla fobia per cui si esegue emdr per rielaborarli; inoltre durante la terapia la ragazza ha un momento di blocco in seguito ad un aumento di iperarausal, evitamento e intrusività dei pensieri dopo avere avuto il covid ed essere stata in quarantena e anche in quel momento abbiamo dovuto rielaborare l’ accaduto e riprendere le nostre esposizioni in maniera più cauata.
Di seguito un disegno fatto in fase iniziale di terapia
Durante le prime settimane si calcola la quantità di cibo che riesce ad inserire con il disagio correlato per inserire a poco a poco i cibi che fanno più paura.
La fobia del cibo è vista come un nemico da combattere per cui ogni tot tempo viene rilevata la percentuale di ansia che diminuisce in seguito alle esposizioni.
Oggi L. oggi mangia un pò tutto in seguito a cicli di esposizione a casa (confort zone) e da più o meno 5 mesi fuori nei locali per generalizzare il comportamento; l’ansia è pari ad un 40% e i pensieri sono molto più positivi grazie alla ristrutturazione cognitiva e all’ impegno da parte sua nello scegliere ciò che è importante (posso scegliere il mio comportamento anche in presenza di sensazioni e pensieri negativi; è meglio mollare la lotta verso sensazioni spiacevoli, scegliendo di intraprendere azioni verso ciò che è importante per me).
Questa estate è partita per la prima volta con il ragazzo e dopo 5 anni assaggia alcuni alimenti, come la piadina, l’arancino, pasta media, carne ecc….
Di seguito un disegno in cui si vede come L. si vede più forte e piena di vita.
Dr.ssa Genny Sagona
Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale - Palermo
genny.sagona@gmail.com - Cell. 342 0710542
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