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LA BALBUZIE NELL’ETA’ ADOLESCENZIALE
Dr.ssa Luciana Porzio e Dr. Antonio Grande - Psicologi Psicoterapeuti Bologna
Balbuzie e psicologia dell’adolescenza
I problemi che sottendono la balbuzie assumono una valenza diversa nell’eta' adolescenziale, rispetto agli anni precedenti.
Le trasformazioni fisiologiche che accompagnano la crescita e i conseguenti effetti psicologici che incidono sulla personalita' del ragazzo in cerca di definizione e di identita', il cambiamento nelle capacita' cognitive verso un pensiero di tipo formale (in termini piagetiani), che si caratterizza nelle capacita' ipotetico-deduttive di astrazioni logiche da condizioni immaginate, il progressivo distacco dalla famiglia di origine come svincolo verso un graduale processo di autonomia e di crescente inserimento nella dimensione gruppale dei coetanei (come ribellione e rifiuto del modello fino ad allora proposto e come ricerca di nuovi modelli), sono solo alcune delle principali caratteristiche di questa fase.
Il vissuto psicologico di precarieta' e di insicurezza legato a questi sconvolgimenti repentini ed improvvisi risulta ulteriormente aggravato dalla presenza di una difficolta' nell’eloquio, quali la balbuzie.
La difficolta' del parlare espone molto spesso il ragazzo adolescente alla derisione da parte dei coetanei, soffocando la sua spontaneita' espressiva fino a spingerlo, molto spesso, a rinchiudersi in se stesso, ed evitare cosi' le situazioni temute.
Allontanarsi dal gruppo significa anche rinunciare al bisogno di conforto, significativo in questa eta' per sopire l’ansia nata dai profondi cambiamenti e per superare l’insicurezza e la paura del distacco dalla famiglia.
La ricerca della propria identita' attraverso l’assunzione di ruoli diversi, al fine di conoscere le proprie potenzialita' e stabilire i confini del proprio Se', risulta spesso compromessa dalla presenza di tale sintomo, e la difficolta' di comunicare, che si esprime nel “dire-non dire”, mette in gioco la personalita' globale del ragazzo adolescente fino ad una graduale stabilizzazione del sintomo come parte di se'.
Da un lato, emerge la remissivita' di fronte alla paura del contatto, dall’altro il tentativo, attraverso il sintomo, di controllare e manipolare l’ambiente circostante, costringendo, in qualche modo, gli altri a prestargli attenzione e a “pendere, “per cosi' dire”, dalle sue labbra”.
Il desiderio di sentirsi al centro dell’attenzione e nello stesso tempo la paura di esserlo, per il timore di un giudizio degli altri, il desiderio di autoaffermazione in campo lavorativo e di fatto l’effettiva esclusione da alcuni ruoli, la ricerca di una propria autonomia e il desiderio di manifestare la propria onnipotenza sugli altri e all’opposto la sensazione di insicurezza e di mancanza di fiducia e di autostima in se stessi, non rappresentano altro che due facce di una stessa medaglia.
Il conflitto tra gli opposti porta ad una mancanza di equilibrio dove la balbuzie protegge dai possibili attacchi sia del Se' reale che del Se' ideale.
Se nei periodi precedenti la balbuzie viene vista ancora come qualcosa al di fuori di se', nell’adolescenza diventa parte integrante della propria identita' con una consapevolezza sicuramente maggiore.
E’ in questa eta' che si registra un maggior numero di richieste di aiuto supportate molto spesso da una buona motivazione ad affrontare il disturbo.
Generalmente la richiesta si focalizza sulla possibilita' di acquisire una buona competenza linguistica che “liberi” dalle paure e dalla sofferenza. Obiettivo fondamentale dell’intervento e' dunque quello di favorire un migliore adattamento all’ambiente.
Gli adolescenti che giungono in terapia molto spesso sono reduci da interventi logopedici con piu' o meno successo e generalmente, all’inizio, si pongono con un atteggiamento di sfiducia, oltre che di speranza, nei confronti delle tecniche e del terapeuta.
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Il Trattamento
L’esperienza degli ultimi decenni ha evidenziato sempre piu' chiaramente, come, alla base della problematicita' terapeutica della balbuzie, vi sia, in primo luogo, la complessita' delle variabili di cui bisogna tener conto nel suo trattamento: variabili legate oltre che all’eta', al sesso e, in generale, alla struttura psicofisica del soggetto, anche a fattori ambientali e situazionali.
Ne consegue che un corretto assetto terapeutico del disturbo, prescindendo da un qualsiasi approccio standardizzato o unilaterale, presuppone, sulla base di un’analisi approfondita del caso specifico, la capacita' di individuare, al di la', naturalmente, dell’opportunita' dell’intervento, quello piu' appropriato e potenzialmente piu' efficace nel caso specifico in osservazione.
Tale assetto implica, necessariamente, la disponibilita' di operatori che, ad una conoscenza approfondita del problema, uniscano un’esperienza specifica nel suo trattamento, in grado di utilizzare approcci terapeutici diversi, integrati o in alternativa.
Da questa premessa deriva che le seguenti linee guida al trattamento dell’adolescente che soffre di balbuzie, necessariamente incomplete per lo spazio a disposizione, vanno interpretate solo come spunti e tracce, un canovaccio, in cui ogni terapeuta dovra' recitare a soggetto o, quando e' il caso, cambiare anche la storia; canovaccio costruito pero' sulla base dell’esperienza maturata in anni di lavoro in questo campo e che si e' dimostrato spesso efficace nell’ottenere gli obiettivi che si propone.
Primo passo dell’iter terapeutico qui proposto deve essere quello di agire tenendo conto della richiesta esplicita iniziale del paziente: imparare a parlare in maniera fluente, senza bloccarsi.
Infatti risulta spesso utile iniziare con un tipo di intervento che vada incontro alla domanda dell’adolescente, aiutandolo ad acquisire padronanza nel linguaggio attraverso l’esercizio con tecniche non ridicole o umilianti, ma il piu' vicino possibile al linguaggio normale; sono da considerarsi ormai superate le vecchie tecniche logopediche di sillabare, battere il tempo col metronomo e cosi' via.
Tenendo conto poi che la balbuzie si evidenzia particolarmente in situazioni ansiogene e porta con se' un carico di tensione emotiva, e' utile abbinare, alla prassi sopra menzionata, tecniche mirate di rilassamento, aiutando progressivamente l’adolescente a sperimentare stati di distensione e vissuti corporei di calma, spesso sconosciuti, che gli permettano via via di riconoscere la tensione come tale e di sviluppare mezzi per gestirla (basti pensare alla cronica tensione cingolo-scapolare che il soggetto non percepisce come tale, ma che vive come fiato corto e difficoltà anche alla sola prospettiva di parlare).
Queste metodiche facilitano l’adolescente nell’entrare in contatto con i propri vissuti interiori e distaccandolo, almeno momentaneamente, dalle paure legate alle circostanze esterne, lo aiutano, tramite il rilassamento psicofisico, ad avvicinarsi al proprio mondo interno.
Una volta impostato questo lavoro, che ha come controindicazione, per l’aspetto rieducativo fonetico, quegli adolescenti il cui disturbo del linguaggio e' molto ridotto e in cui un’eccessiva attenzione tecnica a quest’ultimo potrebbe addirittura peggiorarlo, si puo' cogliere l’opportunita' offerta dalla migliorata fluenza verbale, per cominciare quindi a parlare della sua vita, dei suoi problemi di ogni giorno: amici, scuola, genitori, ecc., e tentare di esplorare quello che e' possibile delle cause che hanno prodotto la balbuzie e che continuano a mantenerla viva.
Cio' presuppone nell’adolescente la disponibilita' ad aprirsi parlando di se', dei propri vissuti, delle proprie ansie e questo viene fortemente facilitato dall’aver gia' impostato un rapporto di fiducia nella fase precedente in cui ci si e' concretamente preso cura di lui, gli abbiamo già “dato” qualcosa sotto forma di parole e tecniche che, oltre a veicolare il nostro interesse per lui, hanno fornito spiegazioni e un aiuto concreto, aiutandolo a capire meglio quello che gli succede e fornendogli anche nuovi mezzi per gestire le difficolta'.
Questa base di fiducia acquisita e la scoperta di nuove potenzialita', lo aiuteranno a riconoscere e a mettere in discussione schermi e razionalizzazioni, attraverso cui spesso nasconde la paura di relazionarsi con gli altri e di balbettare.
Tipica a questo proposito e' la reazione dell’adolescente alle prime feste tra coetanei. Fino ad allora spesso i contatti verbali si limitavano soprattutto ad accompagnare azioni del tipo: giocare, fare i compiti, ecc. Quella della festa e' invece una situazione in cui il linguaggio balza in primo piano, ci si trova infatti soprattutto per parlare, scherzare, raccontare barzellette, tutto sotteso dall’interesse eterosessuale e dai ruoli ad esso connessi, di cui l’adolescente comincia a prendere sempre piu' consapevolezza. Tipica reazione dell’adolescente che teme di essere scoperto come inadeguato, handicappato, e' “l’evitamento”: “non ci vado, mi annoio, sono tutte sciocchezze, ho altro da fare e cosi' via”.
Il terapeuta dovra' aiutarlo a riconoscere queste sue paure e lavorarci sopra nel quadro del riconoscimento della balbuzie come problema e non come identita' globale.
Questo tipo di intervento, che richiede un ruolo piuttosto attivo da parte del terapeuta, ma anche da parte del paziente (esercizi fonetici, di rilassamento, ecc.), ancora piu' di altri tipi di terapia richiede nella presa in carico dell’adolescente, che, normalmente, arriva accompagnato dai genitori, una responsabilizzazione a “quattr’occhi”. Qualcosa che suoni pressappoco così: “Si puo' fare (naturalmente quando e' il caso), ma dobbiamo lavorare assieme e quindi dobbiamo essere in due. Ci sara' da impegnarsi, i tuoi genitori ti hanno portato, ma la decisione finale deve essere tua. Se non ti senti pronto o convinto, possiamo aspettare”. In genere questo tipo di intervento viene piuttosto apprezzato dai giovani pazienti e da' i suoi frutti nel corso del trattamento; oltretutto permette spesso di “entrare” subito nella terapia, dando loro modo di esprimere dubbi, incertezze, scoraggiamenti per precedenti trattamenti, ecc. In effetti quando ci si rende conto che l’adolescente non e' molto motivato, piuttosto che tentare e poi vedere come va, e' meglio sapere aspettare e fornirgli un punto di riferimento, insieme alla prospettiva di un intervento potenzialmente efficace, quando sara' il momento.
La flessibilità puo' riguardare talvolta anche la frequenza degli incontri, che anch’essa va modellata sul soggetto.
Il piu' anziano di noi ricorda il caso di una ragazzina, la cui madre voleva convincerla a tutti i costi di cominciare con serieta' e impegno la terapia, frequentandola settimanalmente; era l’avvisaglia di una lotta fra madre e figlia che avrebbe fatalmente condotto la terapia in un vicolo cieco e a un molto probabile insuccesso, nonostante una discreta motivazione da parte della ragazzina. In questo caso le parole magiche furono: Sei tu che sai quello che è buono per te, scegli tu la frequenza. In realta', al di la' della balbuzie, che in tempi relativamente brevi, fra tecniche fonetiche e di rilassamento, smise di essere un problema, il trattamento, che, nel tentativo di facilitare la maturazione della ragazza, si sviluppo' lungo una linea psicoanaliticamente orientata, l’accompagno' fino alle soglie della laurea, con brevi periodi di lavoro intervallati da lunghe o lunghissime sospensioni, durante le quali continuava pero' a sviluppare e maturare i germi di crescita recepiti durante i periodi di trattamento, con prese di coscienza talvolta clamorose.
Concludendo queste brevi note sul trattamento, ci preme sottolineare che
compito fondamentale del terapeuta con l’adolescente balbuziente e' infine quello di aiutarlo a raggiungere, oltre che un buon adattamento all’ambiente, anche la maggiore autonomia possibile.
Particolarmente illuminante, e in un certo senso estremo, e' il caso di un paziente dodicenne che, dopo un certo periodo di trattamento, venne mandato in Inghilterra, per qualche settimana di studio, dai genitori pur titubanti, ma fortemente sostenuti dal terapeuta. Quando al ragazzo si chiese come era andata con la lingua e con la balbuzie, questi con l’aria fra l’annoiato e l’infastidito rispose: ”Bene, bene, ma non parliamo sempre di balbuzie.” In effetti il disturbo era come magicamente scomparso e, a quanto risulto' poi, per non riapparire piu'. Probabilmente il discorso, piu' o meno inconsapevole, sotteso a questo fenomeno era forse stato questo: ”Se posso sopravvivere in un paese straniero, per delle settimane, lontano dai miei, posso contare su me stesso piu' di quanto pensassi”. Questo fu sufficiente in questo caso per risolvere il problema.
Il problema dell’autonomia e', infatti, spesso sotteso al problema della balbuzie e il disturbo stesso costituisce, in un’eta' cosi' delicata, un ostacolo alla sua soluzione, per le ricadute che ha sull’adolescente e sull’ambiente, ricadute che non bisogna correre il rischio di sottovalutare e che consigliano quindi un intervento attivo di sostegno su vari piani da parte del terapeuta.
Questo compito di aiutare l’adolescente a realizzare la propria autonomia si concretizza, nelle fasi finali del trattamento, nell’accompagnarlo nel distacco da quest’ultimo e ciò richiede particolare cautela, delicatezza e disponibilita': questa parte del lavoro del terapeuta sara' tanto più facilitata quanto piu' nella prima fase avra' “dato” con il suo ruolo attivo e, dimostrandosi una “base sicura”, avra' saputo conquistarsi la fiducia del giovane paziente.
Dr.ssa Luciana Porzio
Psicologa Psicoterapeuta Bologna
Dr. Antonio Grande: Opera a Bologna dal 1980. Laureato in Psicologia (Univ. Padova) ed in Pedagogia (Univ. Bologna), ha seguito una prima formazione post-universitaria in Riabilitazione e Psicoterapia del Linguaggio e poi, sviluppando e approfondendo i propri interessi, Specializzazioni e Formazioni, al minimo quadriennali, in Psicoterapie Dinamiche Brevi, in Psicoterapia Ipnotica, in Psicoterapia Psicoanalitica e in Consulenza Sessuale e Sessuologia Clinica. Già direttore del Centro di Psicologia Applicata, è attualmente direttore del Centro Studi di Psicoterapia "Arca" e direttore scientifico della Rivista di Psicologia Psicoterapia e Sessuologia "ARCA ".
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