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LA DIETA POSSIBILE

  

Dr.ssa Marina Porrelli - Psicologo Psicoterapeuta Bologna

 

 - Perchè le diete spesso non funzionano?
 - Qual è la parte del nostro cervello che presiede alla regolazione del peso?
 - Cercare di adeguare il nostro peso a standard estetici può essere
   dannoso per la salute dell'organismo?
 - Cosa manca a chi è obeso?
 - La qualità della relazione tra la madre ed il neonato è importante per
   il costruirsi di un rapporto equilibrato con il cibo?
 - In che ottica va affrontato il problema?
 - Quali sono i trattamenti possibili?


“Fare la dieta” e cioe' sottoporsi ad una restrizione della quantita' e della qualita' del cibo ingerito per ottenere una perdita di peso e' un’esperienza a cui negli anni spesso ripetutamente si e' sottoposta una fetta sempre piu' consistente della popolazione italiana, con l’obiettivo di migliorare il proprio aspetto fisico, il proprio stato di salute, o entrambe le cose.

Cio' si verifica perche', anche se si è riusciti a perdere una buona parte dei chili in eccesso, raramente e' possibile mantenere nel tempo il peso raggiunto poiche', nel corso di un periodo piu' o meno lungo, risulta sempre piu' difficile contrastare la tendenza a riprendere il peso perduto.
Questo articolo esaminera' alcuni dei motivi per cui molte persone non riescono a perdere peso, o a mantenere il peso raggiunto dopo una dieta costata anche molti sacrifici, e cerchera' di illustrare
alcune strategie terapeutiche che possono ottimizzare le possibilita' di successo.

La percezione del peso eccessivo come qualcosa di negativo sia sotto il profilo estetico che di quello della salute in senso lato e' ormai così diffusa da essere considerata un dato scientificamente accertato, e quindi indiscutibile.
In realta' il concetto di sovrappeso e' meno facile da definire di quanto non sembri ad una prima approssimazione.

Infatti il concetto di peso ideale, che e' quello riportato ad esempio nelle tabelle delle assicurazioni per la vita, e' stato ormai messo in crisi da molti studi che, valutando i risultati dei più vari programmi dietetici, hanno mostrato come esso sia difficilmente raggiungibile dalla maggior parte delle persone soprappeso.

Esiste infatti una serie di complessi meccanismi biologici e psicologici, che fanno parte di tutte quelle misure che il nostro organismo ha creato nel corso della sua evoluzione per difendersi dai periodi di mancanza di cibo, che ostacolano il dimagrimento e che, col progredire della dieta, rendono sempre piu' difficile perdere peso ed al contrario estremamente facile recuperare quello perduto.
Questo fenomeno, chiamato effetto rebound, ha la sua base biologica nell’ipotalamo, una parte del nostro cervello che presiede alla regolazione del peso e che mantiene una sorta di memoria del peso precedente alla dieta.
Qualsiasi sia il motivo per cui si dimagrisce (dieta, malattia, ecc.) l’ipotalamo attiva tutta una serie di stimoli ormonali allo scopo di modificare le sensazioni ed i comportamenti della persona (fame, malessere generale, spinta a ricercare il cibo, aumento dell’aggressivita' o senso di astenia e depressione) per farla tornare al peso iniziale e spesso anche ad aumentarlo.

Cio' significa che, ogni volta che perdiamo peso con la dieta, ci esponiamo al rischio che entrino in gioco questi meccanismi molto difficili da controllare, poiche' sono legati alla nostra parte piu' antica ed istintuale, che ci spingono a comportarci in modo da riguadagnare tutto il peso perduto ed anche ad aumentarlo.

Ma c’e' di più: nonostante il peso ideale rappresenti gia' un risultato difficile da conseguire, esso risulta comunque superiore al peso estetico, che e' quello che molte persone ritengono di dover raggiungere per essere in linea con i criteri estetici moderni e sentirsi soddisfatte del proprio aspetto fisico.

I rischi in cui si puo' incorrere sottoponendosi a diete troppo povere o squilibrate, sia dal punto di vista fisico (perdita eccessiva del tessuto muscolare, astenia, blocco mestruale), che da quello psicologico (disturbi del sonno e dell’umore, e soprattutto il rischio che, specie per gli adolescenti, la dieta sia l’inizio di un disturbo alimentare come la bulimia o, peggio ma piu' raramente, l’anoressia nervosa) sono ormai piuttosto noti: in questa sede ci pare importante sottolineare soprattutto come il peso estetico non sia un peso fisiologico e cioe' un peso compatibile con uno stato di salute del nostro organismo, e che puo' essere mantenuto solo a prezzo di continue limitazioni dietetiche.

Tentare di raggiungere questo tipo di obiettivo ci espone non solo al rischio di incorrere in quei problemi fisici e psicologici citati, ma ci allontana anche da un’idea di benessere ed equilibrio psicofisico che deve essere alla base del concetto di dieta.

Nonostante queste argomentazioni siano ormai abbastanza conosciute, non sempre esse vengono tenute nella giusta considerazione nel momento in cui una persona decide di mettersi a dieta.

Questo accade perche'
• il desiderio di conformarsi agli standard estetici e sociali predominanti
puo' essere così forte da indurci a mettere da parte le nostre conoscenze ed anche i segnali che riceviamo dal nostro corpo, sacrificandoli in nome dell’adesione ad un ideale di bellezza che, se raggiunto, garantira' il soddisfacimento del nostro bisogno di sentirci accettati, desiderati e amati.

Nel rapporto con il cibo intervengono quindi fattori biologici, psicologici e sociali potenti, che riguardano
• l’identita'
• l’autostima
• la relazione con gli altri
e che vanno a toccare la parte piu' intima del nostro essere.

Specialmente nelle persone che hanno sofferto di obesita' infantile o che oltre all’obesita' soffrono di problemi emotivi o mangiano in modo incontrollato, oltre ai fattori genetici che sono alla base del problema, giocano un ruolo importante l’educazione alimentare precoce e la qualità delle relazioni con le figure significative dell’infanzia.

Secondo Hilde Bruch, una tra i maggiori studiosi dei disturbi alimentari:

“Le influenze precoci che si verificano nella vita dell’individuo hanno effetti profondi e duraturi non solo sulle caratteristiche mentali ed emotive, ma anche sulle caratteristiche anatomiche, fisiologiche e metaboliche dell’adulto “(H.Bruch 1977).

In che modo l’educazione precoce puo' divenire un fattore di rischio per l’obesita'?

Uno degli aspetti piu' importanti messi in evidenza da osservazioni cliniche e da ricerche sperimentali e' che negli obesi vi e' un’errata percezione dello stimolo della fame, che puo' risalire fino alle prime esperienze infantili: spesso, infatti, chi soffre di questo disturbo pensa di aver fame e mangia quando in realta' stanno provando altri tipi di sensazioni, emozioni o sentimenti.

Il meccanismo di riconoscimento della fame, infatti, non e' qualcosa di puramente istintivo, ma necessita di essere modellato nelle prime fasi della vita ed e' quindi influenzato sin dagli inizi dagli aspetti di relazione tra il bambino e le persone che lo accudiscono.

Questo deficit nel riconoscimento delle sensazioni e' un problema di tipo concettuale come e' stato evidenziato dagli studi di Schafer (1968) che hanno evidenziato come cio' che risulta deficitario e':

la capacita' di distinguere tra la fame ed altri tipi di sensazioni.

Infatti, non solo spesso i pazienti obesi mangiano per provare un sollievo passeggero a sentimenti di ansia o depressione, per i quali non riescono a trovare risposte più adatte, ma spesso essi non ne sono consapevoli perche' faticano a distinguere tra il bisogno di nutrimento ed altre situazioni di disagio o di malessere.

Gli obesi mangiano piu' come risposta a stimoli esterni quali la vista del cibo, la sua disponibilita', il tempo apparentemente passato tra un pasto e l’altro, mentre i soggetti con un peso normale mangiano di piu' come risposta a stimoli enterocettivi, cioe' provenienti dal proprio corpo: questo dato indica che

l’insieme dei sintomi fisici che un obeso riassume nel concetto di fame e' diverso da quello della persona con peso normale.

Ma come fa un bambino a creare il proprio concetto di fame?

Sappiamo che il neonato nasce con una serie di capacita' di organizzazione degli stimoli piuttosto complesse che indirizzano fin dalla nascita i suoi comportamenti, ma sappiamo anche che queste risposte geneticamente predefinite sono piuttosto indifferenziate e che occorrono risposte appropriate da parte dell’ambiente perche' il bambino possa raccogliere ed organizzare il materiale rilevante allo sviluppo della sua autoconsapevolezza e capacita' di comprensione delle esperienze.

Quando il bambino, in risposta ad una sensazione di disagio, comincia ad agitarsi invia il segnale di questo suo malessere alla madre la quale deve riuscire ad individuare quale tipo di bisogno sta esprimendo il figlio in quel momento per poterlo soddisfare in modo adeguato.
Se la maggior parte delle volte la madre riesce a compiere una discriminazione corretta tra la fame ed altri tipi di bisogno, il bambino pian piano si formera' un’idea di fame in cui rientrera' la sensazione soggettiva di disagio, l’esperienza del nutrimento che fa cessare questa sensazione, ma anche l’atmosfera in cui si e' svolto il pasto e il rapporto con la persona che glielo ha fornito.
Negli obesi e' stato possibile osservare che la madre spesso ha reagito al malessere del figlio nutrendolo non solo quando il bambino aveva fame, ma anche quando egli segnalava altri tipi di malessere come
• ansia
• noia
• ipereccitazione e via dicendo.

Il bambino quindi non ha imparato a discriminare adeguatamente queste sensazioni da quella della fame, ne' tanto meno a trovare risposte piu' adeguate ai suoi bisogni.

Questo accade per una serie di motivi che sono alla base del rapporto genitori-figlio: a volte la madre manca di sicurezza e fiducia nelle proprie capacita' genitoriali e tende a compensare questa incapacita' facendo mangiare troppo il figlio e diventando iperprotettiva, mentre a volte e' il padre che gioca questo ruolo; inoltre, spesso allo stesso tempo, l’attivita' fisica ed esplorativa del bambino viene inibita perche' sentita come qualcosa che puo' mettere a repentaglio la sua incolumita' fisica, ed i contatti sociali con gli altri bimbi vengono inibiti perche' potenzialmente pericolosi.
La combinazione tra l’inibizione dell’attivita' fisica, un difficile inserimento sociale ed un iperinvestimento della funzione alimentare e' un dato che nelle persone obese si presenta con una frequenza significativa.

L’intrecciarsi dei fattori biologici, psicologici e sociali che giocano un ruolo nell’innesco e nel mantenimento del soprappeso ha luogo durante tutto l’arco della nostra vita ed e' uno degli aspetti che rende difficile trovare un rimedio risolutivo al problema.

Il primo consiglio che vorremmo dare a chi ha tentato numerose volte di dimagrire ed ha fallito, e' proprio di non cercare un rimedio facile o miracoloso, come pillole o bevande dimagranti, poiche' e' altamente improbabile che si possano trovare soluzioni semplici ad un problema cosi' complesso.

E’ molto più opportuno affidarsi ad una struttura dove sia possibile trattare il problema da un punto di vista interdisciplinare consultando, a seconda delle necessita', il medico, il dietista e lo psicologo.

E’ infatti importante dedicare tempo sufficiente alla fase di valutazione iniziale, per stabilire quale programma di trattamento risponda meglio alle vostre esigenze e minimizzi i rischi di ricadute.

Questa e' una fase cruciale del programma, dove si prendono in considerazione una serie di elementi che sono molto importanti per raggiungere il successo: il primo e' verificare se esiste una motivazione sufficientemente alta, che e' uno dei requisiti fondamentali per la riuscita del trattamento. In secondo luogo, si definira' con la maggior precisione possibile l’obiettivo a cui puntare.

Ad esempio: se volete dimagrire soprattutto per motivi di salute, bastera' perdere il 10% del peso attuale, sapendo che un calo di questo tipo e' quello che espone anche al minor rischio di ricadute; al contrario, se si intende perdere piu' del 10% del peso, occorrera' valutare con particolare attenzione le motivazioni che sono alla base di questo desiderio e di confrontarle con il rischio che, più alta e' la perdita di peso, maggiore e' il rischio di non mantenere nel tempo il peso raggiunto.

Infine, si fara' un bilancio dello stato di salute complessivo, valutando anche gli aspetti psicologici: sappiamo infatti che quasi il 30% delle persone obese soffre anche di disturbi psicologici come depressione o un disturbo del carattere.

Una parte di questo lavoro puo' essere fatta partecipando ad un gruppo di auto-aiuto guidato dove, con l’aiuto di tecniche psicologiche (che mirano ad aumentare la consapevolezza del modo in cui mangiamo, rinforzare la motivazione alla dieta, ed a trovare strategie efficaci per evitare eccessi e ricadute) ed il sostegno del gruppo si cerchera' di modificare le abitudini alimentari e di comportamento che ostacolano il mantenimento di un peso adeguato.
Al trattamento di gruppo si affianchera' o sostituira' uno di tipo individuale nel caso in cui si riconosca la maggiore utilita' di questo tipo di percorso o si rilevino difficolta' a frequentare il gruppo.

Questo significa che se si presume che non sara' possibile frequentare il gruppo con assiduita', sara' utile orientarsi subito per un trattamento individuale; cosi' come se dalla valutazione iniziale risultano preminenti disturbi come
• depressione
• angoscia
• disturbi del comportamento alimentare come bulimia o disturbo di alimentazione incontrollata
sara' il caso di considerare l’opportunita' di un trattamento individuale che affianchi, preceda, segua o sostituisca quello di gruppo e quale tipo di gruppo si adatta meglio alla situazione specifica.

In questo approccio interdisciplinare, che si sta diffondendo velocemente grazie alla sua plasticita' ed efficacia, la dieta ritrova il suo significato originario di autodisciplina e di maggior contatto con la nostra natura interna, nel senso piu' ampio del termine, per ricercare maggior benessere ed un miglior equilibrio psicofisico.
In questa luce, il modo migliore per affrontare con successo un programma dimagrante diventa quello di considerarlo un’occasione per prenderci cura di noi stessi.

                                                                         

Dr.ssa Marina Porrelli

Psicologo Psicoterapeuta Bologna
 


 

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In questo articolo si è parlato di: Obesità, Dieta, Dimagrimento, Peso estetico, Autostima, Ansia, Depressione, Gruppi di auto-aiuto, Psicoterapia individuale.